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Studio clinico: L’elefante senza orecchie.

L’elefante senza orecchie.
Perversione narcisistica e aggressività. Uno studio clinico.
Di Sergio Anastasia
A partire dall’osservazione clinica di alcuni pazienti, si vuole evidenziare come l’incapacità di sognare “il sogno dell’altro”, si rifletta su modalità perverse, sino all’aggressività manifesta, con cui l’individuo percepisce l’altro come un oggetto, che esiste solamente come estensione di sé e solo in rapporto ai propri bisogni. L’altro è oggettivamente, ma non soggettivamente, necessario, ma solo in qualità di specchio. Si viene a creare un paradosso, per cui l’individuo aggressivo vive con gli occhi spalancati e contemporaneamente serrati, che guardano ma non vedono. LA ragione di ciò è chiaramente nel fatto che vi sia stata un’assenza di sguardo: soggetti che non sono stati mai visti, e per questo non appaiono dotati della possibilità di vedere l’altro. Occhi che hanno ricevuto uno sguardo non vedente, insieme accecante, raggelante e mortificante.
Tali personalità narcisistiche, si trovano bloccate in una condizione che Bromberg (1998) definisce tra “lo specchio e la maschera”. Maschera che crea l’illusione dell’autosufficienza come “pedaggio da pagare” per la finzione di mettere in mostra un falso sé, nel tentativo di negare la propria reale condizione. Vi è, in questi casi, uno scarto notevole tra una condizione interna di insignificanza e impotenza da un lato, e da un altro lato un’apparenza esterna di finta grandiosità e potenza.
Ciò che si stabilisce è la propria possibilità di godimento e il modo in cui l’altro sia escluso da questa scena, ma costretto ad assistervi, provando sentimenti di invidia e il desiderio, al contempo, di smettere e continuare a guardare. Vedo/non vedo, come un bimbo che si copra gli occhi ma sbirci fra le dita. Non è possibile perdere di vista neppure una scena che mi fa soffrire.
Appare come in questi individui, un pieno accesso alla sessualità non sia ancora consentito, per via di un Io infantile, i cui echi della scena primaria vengono vissuti con una intensità e una misteriosità seducenti.
A ciò che luccica egli non riesce proprio a sottrarsi.
Da un punto di vista terapeutico, si pone una questione di metodo che vorrei approfondire in questo seminario. Farà da traccia una considerazione di Bion, il quale in Cogitations osserva: “L’importanza dell’inconscio non deve renderci ciechi sul fatto che, oltre alle nostre memorie e desideri inconsci trattati psicoanaliticamente, esiste il problema di come trattare i nostri desideri coscienti e ricordi coscienti, che genere di ‘psicoanalisi’ è necessaria alla coscienza?” (1992, p. 92).
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